Capita, a volte, che ci venga posto il quesito: perché concentrare il lavoro sulla Rocca, mentre il resto del territorio ha difficoltà ben più gravi e più pressanti? E ci vengono portati ad esempio strade, cimiteri, fognature, manutenzione e via dicendo. Insomma, perché investire in un bene culturale, quando ci sono altre situazioni da sanare nel territorio?
Perché investire in un bene storico?
Premessa: avevamo già trattato in parte questo tema in un intervento di qualche anno fa, che si chiamava “Se si salva lei, ci salviamo anche noi”. Ancora molto attuale.
Per riprendere il tema, ci serviamo di una storia, tratta dal giornale online Il Post. In un suo articolo, che merita la lettura per intero, veniva raccontata la vicenda del direttore della NASA che si era trovato a rispondere alla lettera di una suora missionaria, la quale gli chiedeva “Perché spendete così tanto per lo spazio, quando ci sono bambini che muoiono di fame?”. Fatte le dovute proporzioni, la domanda può applicarsi anche a noi. Perché mai le istituzioni dovrebbero spendere soldi per riqualificare un monumento storico quando ci sono difficoltà quotidiane e pressanti sul territorio? Ecco la lettera di risposta che aveva dato il direttore della NASA.
Prima di spiegarle come il nostro programma spaziale possa contribuire alla soluzione dei problemi qui sulla Terra, vorrei raccontarle una storia che pare sia vera e che potrebbe aiutarla a comprendere l’argomento. Circa 400 anni fa, in una cittadina della Germania viveva un conte. Era uno di quei nobili buoni ed era solito dare buona parte dei propri guadagni ai suoi concittadini poveri: erano gesti molto apprezzati, perché c’era molta povertà e le ricorrenti epidemie causavano seri problemi. Un giorno, il conte incontrò uno sconosciuto. Aveva un banco di lavoro e un piccolo laboratorio nella sua abitazione, lavorava sodo di giorno per avere qualche ora ogni sera per lavorare nel suo laboratorio. Metteva insieme piccole lenti ottenute da pezzi di vetro; le montava all’interno di alcuni cilindri e le utilizzava per osservare oggetti molto piccoli. Il conte fu affascinato da ciò che si poteva vedere attraverso quegli strumenti, cose che non aveva mai visto prima. Invitò l’uomo a trasferire il suo laboratorio nel castello, diventando un incaricato speciale per la realizzazione e il perfezionamento dei suoi strumenti ottici.
La gente in città, tuttavia, si arrabbiò molto quando capì che il conte stava impegnando il proprio denaro in quel modo senza uno scopo preciso. «Soffriamo per la peste», dicevano, «mentre lui paga quell’uomo per i suoi passatempi inutili!». Ma il conte rimase fermo sulle sue posizioni. «Vi do tutto quello che posso», disse, «ma darò sostegno anche a quest’uomo e al suo lavoro, perché sento che un giorno ne verrà fuori qualcosa di buono!».
E in effetti qualcosa di buono avvenne, anche grazie al lavoro di altre persone in diversi luoghi: l’invenzione del microscopio. È noto che questa invenzione ha contributo più di molte altre idee al progresso della medicina, e che l’eliminazione della peste e di altre malattie contagiose in molte parti del mondo sia stata possibile in buona parte grazie agli studi resi possibili dal microscopio. Dedicando parte del proprio denaro alla ricerca e alla scoperta di nuove cose, il conte contribuì molto di più a dare sollievo dalla sofferenza umana rispetto a ciò che avrebbe potuto fare dando tutto i propri soldi ai malati di peste.
Noi crediamo che sia così anche per il progetto della Rocca. Come già accaduto in molte altre realtà, la riqualificazione del castello potrebbe portare con sé la riqualificazione del territorio, e la soluzione di molti suoi problemi.
La questione di cosa sia o non sia priorità, poi, dipende molto dal punto di vista. Chiedere a chi abita sotto la Rocca se la sua messa in sicurezza non è una priorità. Chiedere ai pochi commercianti di Ripafratta, che ricordano ancora il periodo “d’oro” degli scavi archeologici con tutte le persone che affluivano in paese, se non è una priorità. Ciò detto – e posto che l’impegno economico sulla Rocca non sarebbe certamente a carico dell’ente comunale – rinnoviamo il nostro impegno anche per le questioni che riguardano il riassetto del territorio (parcheggi, piazze, strade, decoro, sicurezza), e auspichiamo che anche tutti coloro che lamentano una carenza delle istituzioni su questi temi possano scendere in campo e darci una mano; ma il nostro impegno resta sempre dentro un’ottica strategica.
In conclusione
Non ci possono bastare gli interventi “spot”, la panchina in più, la buchetta riempita di asfalto, il “contentino”. I problemi da risolvere sono strutturali e sono risolvibili – piaccia o no – solo su larga scala, pensando in grande, e cercando di capire che vocazione vuole avere questo territorio “di confine” da qui a vent’anni. Perché, probabilmente, con i soli interventi “spot”, tra vent’anni saremo irrilevanti più di adesso – è bene esserne coscienti – e destinati a diventare la periferia della periferia. Una strada che abbiamo già intrapreso a tutta velocità, e che solo un progetto importante, come la valorizzazione dei nostri beni storici, può invertire drasticamente.